Introduzione all’enciclica

INTRODUZIONE ALL’ENCICLICA <LAUDATO SII….>

L’Enciclica rappresenta la posizione più fondata, motivata, consistente e profonda del Magistero della Chiesa Cattolica sul rapporto uomo-ambiente.
Anche indipendentemente dall’ambito cattolico, al quale si rivolge e di cui è alta espressione intellettuale, l’Enciclica offre a tutte le persone la possibilità di riflettere in modo approfondito, non ideologico e pensoso, su alcuni temi tra i più scottanti e controversi del nostro tempo: in primo luogo la questione propriamente ecologica del valore della tutela della terra; ma anche le questioni economiche aperte dalla tecno-scienza; il tutto legato alla ridefinizione del ruolo dell’uomo sul pianeta.
Nel testo dell’enciclica, i temi essenziali della questione sono messi a fuoco in modo puntuale e articolati in modo organico e chiaro. Il testo ha tenuto conto delle diverse indicazioni e sensibilità giunte al Papa dalle Conferenze Episcopali di tutto il mondo.
L’Enciclica offre uno sguardo d’insieme che conferma l’unanimità presente nella valutazione dei rischi ambientali gravi e la necessità di una risposta forte, coesa e compatta che solleciti e ispiri tutti i paesi, a cominciare da quelli più ricchi e a maggioranza cristiana, ad affrontare la questione mettendo al centro l’uomo.

Il Papa avvia la sua riflessione, ispirata fedelmente al magistero della Chiesa, con un riferimento a Francesco d’Assisi, alla sua grande sensibilità verso la natura creata, vista come manifestazione immediata dell’amore di Dio. L’intima corrispondenza con la creazione, con gli animali in modo particolare, era per San Francesco indissociabile dalla contemplazione spirituale resa possibile dalla intima comunione creaturale con la terra e con gli esseri viventi che popolano suolo, mare, cielo. Atteggiamento radicalmente opposto a quello materialista, consumista, economicista ed anticattolico proprio del liberismo, che ha prodotto i rischi (e i crimini) che minacciano, da tempo, la sopravvivenza dell’ecosistema o biosfera.
Sono dati incontestabili: la scarsità e l’inquinamento dell’acqua, la perdita della biodiversità, il degrado della qualità della vita umana, il deterioramento sociale ed etico e così via.

È cruciale, in tal senso, il 2° capitolo dedicato al Vangelo della Creazione, dove sono esposti i fondamenti teologici e filosofici che stanno alla base dell’Enciclica
In primo luogo la concezione ebraico-cristiana di Dio creatore, per la quale la natura è vista come creatura, realtà non sacra, non divina. Tale concezione teologica ha progressivamente liberato dalla divinazione antica del cosmo, permettendo così di comprendere la qualità propria di ogni realtà vivente ed esistente.
In secondo luogo l’idea del limite essenziale dell’essere umano, espresso nella consapevolezza che “noi non siamo Dio, e la terra ci precede e ci è stata data” (67).
Solo la connessione coerente di questi due aspetti rende possibile l’affiorare di una visione ecologica equilibrata, centrata sul rapporto ordinato tra la peculiare dimensione umana e la salute dell’ambiente, necessaria alla vita.

L’Enciclica tratta poi due aspetti decisivi di questa concezione.
Il primo aspetto riguarda la radice/responsabilità umana della crisi ecologica contemporanea (dal 1800 ai nostri giorni), vista come conseguenza necessaria della perdita storica della conoscenza corretta del limite operativo dell’azione umana.
L’antropocentrismo moderno ha trasformato progressivamente l’anelito alla libertà personale in volontà di potenza e di dominio illimitata, divenendo volano per un relativismo pratico che acuisce oltremisura le disuguaglianze, scavando una voragine che inghiotte e distrugge ogni risorsa esistente.

In tal senso è scorretto definire l’Enciclica “ambientalista”, se non altro perché l’interesse ultimo riguarda la rivendicazione razionale e cristiana di un’ecologia dell’umano, la cui tappa decisiva è il riconoscimento della responsabilità che la libertà razionale ha di alterare o tutelare, secondo i casi, il dato biologico di partenza indispensabile per la vita, calpestando o mantenendo il limite etico indispensabile per la conservazione o la distruzione del creato.
L’uomo, come si diceva, non è Dio. E la terra, il suolo, le risorse naturali non sono proprietà dell’uomo. Per questo motivo è ragguardevole che le esigenze soggettive di azione e produzione non si trasformino in tentativi impietosi di snaturare, prima ancora dell’ambiente, il dato antropologico di partenza che definisce oggettivamente la specificità trascendente della vita personale: anzitutto la dualità sessuale di maschile e femminile, nonché le modalità etiche che decifrano il meccanismo materiale e spirituale della riproduzione, vale a dire matrimonio e famiglia.

Il secondo aspetto: l’Enciclica mette a disposizione del lettore alcune scelte pratiche che potrebbero essere perseguite al fine di migliorare la relazione uomo-ambiente, garantendo la conservazione e la valorizzazione universale della natura: un bene comune che passa attraverso il rafforzamento del dialogo politico, la presenza delle religioni nello spazio pubblico, l’amore civile, la pace.
In conclusione, da oggi avremo a disposizione un documento che esprime la posizione che ha da sempre la Chiesa sul creato, e che punta l’indice di nuovo coraggiosamente, analogamente a quanto aveva fatto Benedetto XVI nella Spe salvi, sulle false utopie e i nefasti messianismi secolarizzati del dominio.
A ben vedere, infatti, è la protezione di quel limite che distingue il naturale dall’artificiale e il bene dal male a dare all’uomo la possibilità di costruire il senso relazionale di una vita umana solidale e produttiva, rifiutando ogni tentativo tecno-scientifico esasperato di alterare e annientare l’ambiente in cui anche le future generazioni dovranno vivere in modo coeso e generoso.
Francesco propone così il recupero del valore tradizionale della contemplazione spirituale, filosofica e artistica del mondo, da viversi come corrispondenza all’opera d’amore di un Creatore intelligente e buono che dà un senso intrinseco, effettivo e sacro a tutte le cose esistenti, mettendole a disposizione dell’intero genere umano per tutti i tempi della storia.

a) SEI CAPITOLI E UNA DOMANDA COME PREMESSA
Il testo è suddiviso in sei capitoli. Il presupposto è la domanda “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?”.
A scanso di equivoci, viene subito ricordato che “questa domanda non riguarda esclusivamente l’ambiente, perché non si può porre la questione in maniera parziale”. L’enciclica non è diretta solo ai cattolici, il tema infatti è così complesso e universale che viene rimarcato come il messaggio sia rivolto a tutti, visto che si tratta della “nostra casa comune”.
Dialogo che ben emerge nel capitolo quinto, quando il Papa ricorda che “altre Chiese e comunità cristiane – come pure altre religioni – hanno sviluppato una profonda preoccupazione e una preziosa riflessione” sul tema dell’ecologia. E non è un caso che ampiamente citato sia il patriarca ecumenico Bartolomeo I di Costantinopoli.

b) LA DIMENSIONE UMANA E SOCIALE
Lo schema del documento è semplice: dopo aver passato in rassegna le acquisizioni scientifiche oggi disponibili, passa a confrontarsi con la tradizione biblica giudaico-cristiana. Quindi si entra nel cuore dell’enciclica con la proposta di sviluppare una “ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali”.
Il capitolo quinto sottolinea l’importanza del dialogo finalizzato a strutturare processi decisionali trasparenti, prima di giungere a offrire spunti per la formazione di una coscienza responsabile a livello educativo, spirituale, ecclesiale, politico e teologico.

c) MUTAMENTI CLIMATICI E QUESTIONE DELL’ACQUA
Il 1°capitolo, passa in rassegna le acquisizioni scientifiche.
Francesco prende in esame cinque aspetti: da quello più annunciato e relativo ai mutamenti climatici che comportano “gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche che costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità”, per arrivare alla questione dell’acqua: “ un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani”. Si passa poi alla tutela della biodiversità.

d) LA RICCHEZZA DELLA TRADIZIONE GIUDEO-CRISTIANA
Nel 2°capitolo tratta della tradizione giudeo-cristiana.
“Questa rivelazione esplicita la tremenda responsabilità dell’essere umano nei confronti della creazione, l’intimo legame fra tutte le creature e il fatto che l’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti”.
e) L’USO DELLE TECNOLOGIE
Il 3° capitolo ha al centro un’analisi della situazione attuale.
Si parla anche di tecnologia: viene sì riconosciuto l’apporto al miglioramento delle condizioni di vita, ma mette in guardia sul rischio di dare “a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla n dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero”.
Due problemi definiti “cruciali” sono toccati in questo capitolo: il lavoro e i limiti del progresso scientifico, con chiaro riferimento agli OGM, che comunque “sono una questione di carattere complesso”. Circa il dibattito scientifico e sociale, si auspica che esso sia “responsabile e ampio, in grado di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare le cose con il loro nome”.

f) L’ECOLOGIA INTEGRALE CUORE DEL DOCUMENTO
Il 4°capitolo cuore del documento, è la proposta di una “ecologia integrale come nuovo paradigma di giustizia”. Una ecologia “che integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda”.
Scrive il Papa, “non possiamo considerare la natura come qualcosa separato da noi o come una mera cornice della nostra vita”.
L’ecologia integrale “è inseparabile dalla nozione di bene comune, da intendersi però in maniera concreta: nel contesto di oggi, in cui si riscontrano tante iniquità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali”, impegnarsi per il bene comune significa fare scelte solidali sulla base di una “opzione preferenziale per i più poveri”.

g) RINNOVARE LA POLITICA
Il 5° capitolo affronta la domanda su che cosa possiamo e dobbiamo fare, e propone una serie di prospettive di rinnovamento della politica internazionale, nazionale e locale, dei processi decisionali in ambito pubblico e imprenditoriale, del rapporto tra politica ed economia e di quello tra religioni e scienze”.

h) COSTRUIRE CAMMINI CONCRETI NON IDEOLOGIZZATI
Il 6° capitolo Per il Papa, “è indispensabile che la costruzione di cammini concreti non venga affrontata in modo ideologico, superficiale o riduzionista. Per questo è indispensabile il dialogo, un termine presente nel titolo di ogni sezione di questo capitolo”.
La Chiesa, “non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma io invito a un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune”.

Quando l’economista Jeremy Rifkin ha letto l’Enciclica <Laudato sii> si è ricordato del suo libro <Entropia> del 1980: «Nell’ultimo capitolo mi chiedevo che ruolo potessero avere le religioni nella battaglia culturale per uscire dal paradigma economico basato sullo sfruttamento delle risorse, sui combustibili fossili, sull’eccesso di scarti e sull’eccesso di divario sociale. Ora ci siamo: quello del Papa non è solo un grido d’allarme, è molto di più».

Vale a dire?
«Nel pensiero giudaico-cristiano ci sono sempre state due visioni opposte del rapporto dell’uomo con la natura.
1^visione: basata sull’idea che la natura sia al servizio dell’umanità, il quale quindi ha pieno diritto a sfruttarla;
2^visione: basata sull’idea che l’umanità debba rispettare e preservare la natura, prendersene cura, facendo parte di essa.
Con questa Enciclica la Chiesa opta definitivamente per questa seconda impostazione».

Con quali conseguenze?
«Papa Francesco ha capito che siamo nel momento decisivo dello scontro tra il vecchio capitalismo e un nuovo modello di relazioni economiche, ambientali e sociali. E ha affrontato la questione legando strettamente la condizione ambientale alla condizione umana, l’ecologia del pianeta alla ecologia dell’umanità».

In che senso?
«Il vecchio capitalismo ha creato un sistema in cui, contestualmente, il pianeta veniva sfruttato e l’ambiente riempito di spazzatura, mentre solo una piccola parte dell’umanità usufruiva della ricchezza prodotta da questo modello di sviluppo. A questo paradigma capitalista è stato contrapposto, nel secolo scorso, il modello del socialismo industriale; ma solo ora si inizia a convenire sul fatto che il superamento del modello capitalistico sta altrove: cioè nell’economia della condivisione e a zero costo marginale, nelle reti diffuse di produzione e consumo di energia, nell’accesso universale e condiviso ai trasporti e all’elettricità creata da fonti rinnovabili, nella sostituzione dei vecchi indicatori basati sul Pil con altre forme di misurazione del benessere. E ovviamente nella fuoriuscita dalla produzione centralizzata e basata su combustibili fossili».
L’enciclica è una sferzata ai politici indifferenti o corrotti
Dell’Enciclica colpisce la laicità dei termini e degli argomenti e l’accesso ai grandi temi del dibattito internazionale: l’ecologia, i beni comuni, 
il rapporto tra tecnica, economia e politica.

Il Papa parla anche di “cambiamenti degli stili di vita” invitando a una riduzione dei consumi e alla sobrietà…
«Sì, ma non c’è nulla di regressivo nell’Enciclica. Si parla invece di nuovi comportamenti che già si stanno diffondendo, specie tra i più giovani, e di cui papa Francesco ha compreso l’importanza. Quando un maggiorenne decide di non comprarsi un’automobile ma di muoversi con il car sharing (auto condivisa) cos’altro sta facendo se non modificare lo stile di vita rispetto a un suo coetaneo di trent’anni fa? Eppure quel piccolo gesto è già una rivoluzione. Quando poi il car sharing si allargherà alla diffusione in città di percorsi condivisi sulla stessa auto tramite Gps, sarà un altro passo in quella direzione e si arriverà a una riduzione di automobili circolanti fino all’80 per cento, senza che nessuno abbia meno accesso di ora alla mobilità. E ancora, le forti parole del Papa sulle piccole produzioni diffuse portano dritti a un altro cambiamento che sta già avvenendo, quello che lascia dietro alle nostre spalle la dialettica tra “proprietario” e “lavoratore” e ci avvia verso la società dei consumatori che sono anche produttori: di energia elettrica, di musica, di cultura, di notizie ecc. Quando si parla di “piccole produzioni”, è tutta l’economia che cambia, che si fa rete, compresa quella più avanzata. Così come quando si parla di sharing economy, non si deve più pensare solo al digitale, alla musica o ai video, perché la condivisione sta passando dal mondo della Rete a quello fisico. A iniziare appunto dall’energia, visto che il Sole non manda la bolletta a fine mese».

Nell’Enciclica l’energia è un passaggio centrale.
«Certo. Intanto perché l’energia elettrica è uno strumento fondamentale per l’emancipazione dalla povertà: ancora oggi il 20% dell’umanità ne è completamente priva e un altro 20% non ne ha a sufficienza. Ma a parte questo, l’Enciclica sottolinea l’urgenza della sostituzione dei combustibili fossili con le rinnovabili e cita anche diversi casi di “buone pratiche” che nel contempo causano meno danni al pianeta e diminuiscono il divario sociale. Arrivando poi a parlare, più in generale, di «un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di massimizzare l’efficienza, riutilizzare e riciclare».

Mi sembrano parole profetiche, che in parte riflettono quello che già sta succedendo, con il tramonto del vecchio capitalismo e l’avvio di quella che io chiamo la Terza rivoluzione industriale, basata proprio sul quel modello “circolare”».

Altro aspetto forte dell’Enciclica è l’idea, ripetuta più volte, che nella natura e nell’universo tutto sia “interconnesso”.
«Questo è particolarmente affascinante. Sia perché richiama meditazioni proprie delle religioni orientali – specie buddismo e confucianesimo – che ora possono fare con la Chiesa una comune battaglia culturale in questa direzione; sia perché il concetto di interconnessione è particolarmente contemporaneo e metaforico in questa era in cui grazie alla Rete gli esseri umani sono tutti connessi tra loro».

Per papa Francesco però tutto ciò è intriso di un afflato religioso, di un’adorazione “francescana” per il Creato. Lei invece ha una visione tecnologica e scientista. Non c’è contraddizione?
«Assolutamente no. Il Papa parla di Creato e io di Biosfera, ma sono la stessa cosa. Quello che davvero conta qui è il cambio di mentalità e di approccio verso il Creato-Biosfera, il sentirsene parte e il viverci in una condizione di riduzione di impatto sia verso la natura sia verso i nostri simili. Quanto a San Francesco, pensi la coincidenza: un brano del suo “Cantico delle Creature”, lo stesso che dà il nome all’Enciclica, apre il mio ultimo paper sulla Smart Green Economy».

DA SAN FRANCESCO A PAPA FRANCESCO

Già l’accoppiata di titolo e sottotitolo della nuova enciclica di Bergoglio è molto significativa: “Laudato siì. Sulla cura della casa comune”.

ECO-LOGIA: “Scienza che ha per oggetto lo studio delle funzioni di relazione tra l’uomo, gli organismi vegetali e animali e l’ambiente in cui essi vivono”. Dove per ambiente, mi pare che Francesco non intenda soltanto l’insieme delle condizioni fisico-chimiche e biologiche che permettono e favoriscono la vita, ma anche e, forse, soprattutto, le condizioni sociali, culturali ed etiche che rendono possibile la vita e la vita umana.

Perché il sottotitolo <Casa comune?>. Perché il primo elemento della parola ECO-LOGIA, “ECO” è vocabolo che deriva della lingua greca OIKOS che significa “CASA, ABITAZIONE”.

Una precisazione personale: Abitare e abito derivano dalla medesima radice di un verbo latino. Abito significa anche “atteggiamento della persona, qualità caratteristica della persona, abitudine, atteggiamento, che rinviano a qualcosa che ha a che fare con l’etica e, quindi, con la responsabilità.
Dove si impara l’abito, dove si impara ad abitare la vita, dove si impara ad abitare l’ambiente in modo etico, responsabile, morale, cioè UMANO? In casa. La questione dunque non è solo delle multinazionali criminali che inquinano o distruggono l’ambiente. La questione è nostra, personale.

Dicevo dell’accoppiata di titolo e sottotitolo dell’enciclica: “Laudato sìi… Sulla cura della casa comune”.
Vi compaiono tre concetti decisivi della complessiva interpretazione del cristianesimo come servizio e difesa dell’uomo operata da papa Francesco.
1) la LODE, ovvero la DIMENSIONE CONTEMPLATIVA, che è elemento essenziale per la spiritualità gesuita;
2) la CURA, la prassi volta al BENE COMUNE e alla GIUSTIZIA, tratto peculiare della teologia della liberazione o teologia del popolo latinoamericana;
3) la CASA COMUNE, ovvero il la DIMENSIONE COMUNITARIA o SOCIALE della vita umana, che è sempre vita del un singolo all’interno di una comunità, di un popolo, di una storia.
(Questi tre aspetti sono invisi al liberismo economico-finanziario)

Precisamente per questo terzo aspetto: BENE COMUNE/DIMENSIONE COMUNITARIA della vita, il papa scrive che con l’enciclica egli non si rivolge solo ai cattolici, com’è tradizione per il genere letterario detto “enciclica”, ma a tutte le persone: «Mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune». Come dire: siamo tutti sulla stessa barca e direttamente corresponsabili della situazione della terra.
Francesco tiene a ricordare che la sua particolare attenzione alla questione terra/ambiente non è cosa nuova per la Chiesa, in quanto i suoi predecessori Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI l’avevano coltivata prima di lui. In effetti l’enciclica è debitrice verso Giovanni Paolo II – citato 23 volte – e Benedetto XVI – citato 21 volte.

Essa però costituisce autentica novità per almeno tre motivi:
1) per lo STILE semplice, immediato e comprensibile;
2) per l’ATTENZIONE PRESTATA a CONTRIBUTI che solitamente non costituiscono le fonti del Magistero del Vescovo di Roma, ad esempio il pensiero di altri leader religiosi, tra cui il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, e le analisi di scienziati, di sociologi, di economisti;
3) per la forza fortemente e sorprendentemente LAICA dell’argomentazione. Nell’enciclica infatti ricorrono termini quali inquinamento, rifiuti, cambiamenti climatici, mentalità dello scarto, questione dell’acqua (qui il papa spende parole fortissime contro ogni progetto di privatizzazione delle risorse idriche), perdita di biodiversità, deterioramento della qualità della vita, degradazione sociale, iniquità planetaria, OGM, (crimini prodotti dall’ideologia liberista che è sostanzialmente materialista, consumista, anti cattolica).
Soprattutto la prima parte non ha nulla di ciò che tradizionalmente si intende per religioso.
C’è, piuttosto, una RELIGIOSITA’ LAICA, cioè non dottrinale, non moraleggiante, benché il nucleo generatore sia biblica-teologico.
Dire che la <Terra è di Dio e che la proprietà della terra non è un diritto individuale assoluto> ma è in funzione del BENE COMUNE è affermazione biblica che rinvia all’insegnamento sociale del Magistero della Chiesa, che è sconosciuto alla quasi totalità dei cattolici.

L’enciclica è molto lunga, quasi 200 pagine per 246 paragrafi, e una sua analisi adeguata richiede tempo e riflessione.
Comunque non è un’enciclica “verde o ecologica”, ma antropologica e sociale.
Da quanto ho potuto cogliere a una prima veloce lettura penso che il concetto centrale e decisivo sia quello di “ECOLOGIA INTEGRALE”, espressione che ricorre otto volte nel documento e costituisce il titolo del quarto capitolo.
Ma potrebbe anche essere quello di “ANTROPOLOGIA INTEGRALE”.
Integrale significa in grado di abbracciare tutte le componenti della vita naturale e dell’esistenza umana, la quale va riscattata/liberata dalla progressiva sottomissione alla tecnologia la quale, nel suo legame con la finanza «pretende di essere l’unica soluzione dei problemi», ma, scrive il papa, «di fatto non è in grado di vedere e comprendere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri».
Papa Francesco richiama più volte l’INTERCONNESSIONE di tutte le cose: (“tutto è intimamente relazionato”). Ad esempio, il surriscaldamento del pianeta provoca la migrazione di animali, la perdita di vegetali e quindi l’impoverimento di determinati territori e di coloro che li abitano, i quali, a loro volta, si trovano costretti a emigrare. Nella visione di Francesco l’ecologia, da sola e semplice preoccupazione per l’ambiente naturale, deve diventare anche cura dell’umanità nel segno dell’ecologia integrale.

Rimangono però tre domande.
1) È sostenibile affermare che “la crescita demografica è veramente compatibile con uno sviluppo integrale e sociale”, come scrive il Papa citando un documento precedente? Oggi siamo oltre 7 miliardi e già ora i nostri rifiuti sono superiori alle possibilità di smaltimento, senza contare che lo smaltimento diviene a sua volta causa di inquinamento. Che cosa avverrà quando nel 2050 la popolazione sarà di 9,6 miliardi?

2) Nel capitolo biblico-teologico il Papa scrive che “il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la natura, le ha tolto ogni attribuito o carattere divino”.
Sarebbe opportuno chiedersi se questo processo di desacralizzazione e demitizzazione è all’origine dello sfruttamento e della distruzione progressivi della terra denunciato dal papa?

3) Stupisce l’assenza di ogni riferimento alle grandi tradizioni religiose orientali (induismo, buddhismo, jainismo, taoismo, shintoismo) da sempre molto attente alla questione ecologica e alla spiritualità della natura, molto prima del risveglio al riguardo del cristianesimo. Francesco scrive più volte che “tutto nel mondo è intimamente connesso” e sicuramente sa che si tratta di un insegnamento originario della sapienza orientale, in particolare del buddhismo e del taoismo: perché non dirlo e richiamarli? Non sarebbe stato in linea con il desiderio di “unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale”, come egli scrive?

Un’ultima domanda, forse la più intrigante.
Quale e quanta responsabilità abbiamo noi CONSUMATORI privi, di fatto, di un’ETICA SOCIALE e del senso del BENE COMUNE? Consumatori acritici di tutto ciò che ci sfornano le multinazionale attraverso il loro organo di manipolazione che è la pubblicità?

MESSAGGIO DI BENEDETTO XVI PER LA GIORNATA DELLA PACE 2010

1. In occasione dell’inizio del Nuovo Anno, desidero rivolgere i più fervidi auguri di pace a tutte le comunità cristiane, ai responsabili delle Nazioni, agli uomini e alle donne di buona volontà del mondo intero.
Per questa 43^ Giornata Mondiale della Pace ho scelto il tema: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato. Il rispetto del creato riveste grande rilevanza, anche perché «la creazione è l’inizio e il fondamento di tutte le opere di Dio» e la sua salvaguardia diventa oggi essenziale per la pacifica convivenza dell’umanità. Se, infatti, a causa della crudeltà dell’uomo sull’uomo, numerose sono le minacce che incombono sulla pace e sull’autentico sviluppo umano integrale – guerre, conflitti internazionali e regionali, atti terroristici e violazioni dei diritti umani –, non meno preoccupanti sono le minacce originate dalla noncuranza – se non addirittura dall’abuso – nei confronti della terra e dei beni naturali che Dio ha elargito.
Per tale motivo è indispensabile che l’umanità rinnovi e rafforzi «quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino».

2. Nell’Enciclica Caritas in veritate ho posto in evidenza che lo sviluppo umano integrale è strettamente collegato ai doveri derivanti dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale, considerato come un dono di Dio a tutti, il cui uso comporta una comune responsabilità verso l’umanità intera, in special modo verso i poveri e le generazioni future. Ho notato, inoltre, che quando la natura e, in primo luogo, l’essere umano vengono considerati semplicemente frutto del caso o del determinismo evolutivo, rischia di attenuarsi nelle coscienze la consapevolezza della responsabilità.
Ritenere, invece, il creato come dono di Dio all’umanità ci aiuta a comprendere la vocazione e il valore dell’uomo. Con il Salmista, pieni di stupore, possiamo infatti proclamare: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (Sal 8,4-5). Contemplare la bellezza del creato è stimolo a riconoscere l’amore del Creatore, quell’Amore che «move il sole e l’altre stelle».

3. Vent’anni or sono, il Papa Giovanni Paolo II, dedicando il Messaggio della Giornata Mondiale della Pace al tema Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato, richiamava l’attenzione sulla relazione che noi, in quanto creature di Dio, abbiamo con l’universo che ci circonda. «Si avverte ai nostri giorni – scriveva – la crescente consapevolezza che la pace mondiale sia minacciata… anche dalla mancanza del dovuto rispetto per la natura». E aggiungeva che la coscienza ecologica «non deve essere mortificata, ma anzi favorita, in modo che si sviluppi e maturi, trovando adeguata espressione in programmi ed iniziative concrete».
Già altri miei Predecessori avevano fatto riferimento alla relazione esistente tra l’uomo e l’ambiente. Ad esempio, nel 1971, in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, Paolo VI ebbe a sottolineare che «attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, (l’uomo) rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione». Ed aggiunse che in tal caso «non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana».

4. Pur evitando di entrare nel merito di specifiche soluzioni tecniche, la Chiesa, «esperta in umanità», si premura di richiamare con forza l’attenzione sulla relazione tra il Creatore, l’essere umano e il creato. Nel 1990, Giovanni Paolo II parlava di «crisi ecologica» e, rilevando come questa avesse un carattere prevalentemente etico, indicava l’«urgente necessità morale di una nuova solidarietà». Questo appello si fa ancora più pressante oggi, di fronte alle crescenti manifestazioni di una crisi che sarebbe irresponsabile non prendere in seria considerazione. Come rimanere indifferenti di fronte alle problematiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equatoriali e tropicali? Come trascurare il crescente fenomeno dei cosiddetti «profughi ambientali»: persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono, lo devono lasciare – spesso insieme ai loro beni – per affrontare i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato? Come non reagire di fronte ai conflitti già in atto e a quelli potenziali legati all’accesso alle risorse naturali? Sono tutte questioni che hanno un profondo impatto sull’esercizio dei diritti umani, come ad esempio il diritto alla vita, all’alimentazione, alla salute, allo sviluppo.

5. Va, tuttavia, considerato che la crisi ecologica non può essere valutata separatamente dalle questioni ad essa collegate, essendo fortemente connessa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell’uomo e delle sue relazioni con i suoi simili e con il creato. Saggio è, pertanto, operare una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, nonché riflettere sul senso della economia e dei suoi fini, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. Lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta; lo richiede anche e soprattutto la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi sono da tempo evidenti in ogni parte del mondo. L’umanità ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale; ha bisogno di riscoprire quei valori che costituiscono il solido fondamento su cui costruire un futuro migliore per tutti. Le situazioni di crisi, che attualmente sta attraversando – siano esse di carattere economico, alimentare, ambientale o sociale –, sono, in fondo, anche crisi morali collegate tra di loro. Esse obbligano a riprogettare il comune cammino degli uomini. Obbligano, in particolare, a un modo di vivere improntato alla sobrietà e alla solidarietà, con nuove regole e forme di impegno, puntando con fiducia e coraggio sulle esperienze positive compiute e rigettando con decisione quelle negative. Solo così l’attuale crisi diventa occasione di discernimento e di nuova progettualità.

6. Non è forse vero che all’origine di quella che, in senso cosmico, chiamiamo «natura», vi è «un disegno di amore e di verità»? Il mondo «non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso… Il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà».
Il Libro della Genesi, nelle sue pagine iniziali, ci riporta al progetto sapiente del cosmo, frutto del pensiero di Dio, al cui vertice si collocano l’uomo e la donna, creati ad immagine e somiglianza del Creatore per «riempire la terra» e «dominarla» come «amministratori» di Dio stesso (cfr Gen 1,28). L’armonia tra il Creatore, l’umanità e il creato, che la Sacra Scrittura descrive, è stata infranta dal peccato di Adamo ed Eva, dell’uomo e della donna, che hanno bramato occupare il posto di Dio, rifiutando di riconoscersi come sue creature. La conseguenza è che si è distorto anche il compito di «dominare» la terra, di «coltivarla e custodirla» e tra loro e il resto della creazione è nato un conflitto (cfr Gen 3,17-19).
L’essere umano si è lasciato dominare dall’egoismo, perdendo il senso del mandato di Dio, e nella relazione con il creato si è comportato come sfruttatore, volendo esercitare su di esso un dominio assoluto. Ma il vero significato del comando iniziale di Dio, ben evidenziato nel Libro della Genesi, non consisteva in un semplice conferimento di autorità, bensì piuttosto in una chiamata alla responsabilità. Del resto, la saggezza degli antichi riconosceva che la natura è a nostra disposizione non come «un mucchio di rifiuti sparsi a caso», mentre la Rivelazione biblica ci ha fatto comprendere che la natura è dono del Creatore, il quale ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l’uomo possa trarne gli orientamenti doverosi per «custodirla e coltivarla» (cfr Gen 2,15).
Tutto ciò che esiste appartiene a Dio, che lo ha affidato agli uomini, ma non perché ne dispongano arbitrariamente. E quando l’uomo, invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio, a Dio si sostituisce, finisce col provocare la ribellione della natura, «piuttosto tiranneggiata che governata da lui». L’uomo, quindi, ha il dovere di esercitare un governo responsabile della creazione, custodendola e coltivandola.

7. Purtroppo, si deve constatare che una moltitudine di persone, in diversi Paesi e regioni del pianeta, sperimenta crescenti difficoltà a causa della negligenza o del rifiuto, da parte di tanti, di esercitare un governo responsabile sull’ambiente. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ricordato che «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli». L’eredità del creato appartiene, pertanto, all’intera umanità. Invece, l’attuale ritmo di sfruttamento mette seriamente in pericolo la disponibilità di alcune risorse naturali non solo per la generazione presente, ma soprattutto per quelle future.
Non è difficile allora costatare che il degrado ambientale è spesso il risultato della mancanza di progetti politici lungimiranti o del perseguimento di miopi interessi economici, che si trasformano, purtroppo, in una seria minaccia per il creato. Per contrastare tale fenomeno, sulla base del fatto che «ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale», è anche necessario che l’attività economica rispetti maggiormente l’ambiente. Quando ci si avvale delle risorse naturali, occorre preoccuparsi della loro salvaguardia, prevedendone anche i costi – in termini ambientali e sociali –, da valutare come una voce essenziale degli stessi costi dell’attività economica. Compete alla comunità internazionale e ai governi nazionali dare i giusti segnali per contrastare in modo efficace quelle modalità d’utilizzo dell’ambiente che risultino ad esso dannose. Per proteggere l’ambiente, per tutelare le risorse e il clima occorre, da una parte, agire nel rispetto di norme ben definite anche dal punto di vista giuridico ed economico, e, dall’altra, tenere conto della solidarietà dovuta a quanti abitano le regioni più povere della terra e alle future generazioni.

8. Sembra infatti urgente la conquista di una leale solidarietà inter-generazionale. I costi derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni non possono essere a carico delle generazioni future: «Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana.
La solidarietà universale, ch’è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere. Si tratta di una responsabilità che le generazioni presenti hanno nei confronti di quelle future, una responsabilità che appartiene anche ai singoli Stati e alla Comunità internazionale». L’uso delle risorse naturali dovrebbe essere tale che i vantaggi immediati non comportino conseguenze negative per gli esseri viventi, umani e non umani, presenti e a venire; che la tutela della proprietà privata non ostacoli la destinazione universale dei beni; che l’intervento dell’uomo non comprometta la fecondità della terra, per il bene di oggi e per il bene di domani. Oltre ad una leale solidarietà inter-generazionale, va ribadita l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà intra-generazionale, specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e quelli altamente industrializzati: «la comunità internazionale ha il compito imprescindibile di trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, con la partecipazione anche dei Paesi poveri, in modo da pianificare insieme il futuro».
La crisi ecologica mostra l’urgenza di una solidarietà che si proietti nello spazio e nel tempo. È infatti importante riconoscere, fra le cause dell’attuale crisi ecologica, la responsabilità storica dei Paesi industrializzati. I Paesi meno sviluppati e, in particolare, quelli emergenti, non sono tuttavia esonerati dalla propria responsabilità rispetto al creato, perché il dovere di adottare gradualmente misure e politiche ambientali efficaci appartiene a tutti. Ciò potrebbe realizzarsi più facilmente se vi fossero calcoli meno interessati nell’assistenza, nel trasferimento delle conoscenze e delle tecnologie più pulite.

9. È indubbio che uno dei principali nodi da affrontare, da parte della comunità internazionale, è quello delle risorse energetiche, individuando strategie condivise e sostenibili per soddisfare i bisogni di energia della presente generazione e di quelle future. A tale scopo, è necessario che le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti improntati alla sobrietà, diminuendo il proprio fabbisogno di energia e migliorando le condizioni del suo utilizzo. Al tempo stesso, occorre promuovere la ricerca e l’applicazione di energie di minore impatto ambientale e la «ridistribuzione planetaria delle risorse energetiche, in modo che anche i Paesi che ne sono privi possano accedervi»
La crisi ecologica, dunque, offre una storica opportunità per elaborare una risposta collettiva volta a convertire il modello di sviluppo globale in una direzione più rispettosa nei confronti del creato e di uno sviluppo umano integrale, ispirato ai valori propri della carità nella verità. Auspico, pertanto, l’adozione di un modello di sviluppo fondato sulla centralità dell’essere umano, sulla promozione e condivisione del bene comune, sulla responsabilità, sulla consapevolezza del necessario cambiamento degli stili di vita e sulla prudenza, virtù che indica gli atti da compiere oggi, in previsione di ciò che può accadere domani.

10. Per guidare l’umanità verso una gestione complessivamente sostenibile dell’ambiente e delle risorse del pianeta, l’uomo è chiamato a impiegare la sua intelligenza nel campo della ricerca scientifica e tecnologica e nell’applicazione delle scoperte che da questa derivano. La «nuova solidarietà», che Giovanni Paolo II propose nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1990, e la «solidarietà globale», che io stesso ho richiamato nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2009 , risultano essere atteggiamenti essenziali per orientare l’impegno di tutela del creato, attraverso un sistema di gestione delle risorse della terra meglio coordinato a livello internazionale, soprattutto nel momento in cui va emergendo, in maniera sempre più evidente, la forte interrelazione che esiste tra la lotta al degrado ambientale e la promozione dello sviluppo umano integrale. Si tratta di una dinamica imprescindibile, in quanto «lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità».
Tante sono oggi le opportunità scientifiche e i potenziali percorsi innovativi, grazie ai quali è possibile fornire soluzioni soddisfacenti ed armoniose alla relazione tra l’uomo e l’ambiente. Ad esempio, occorre incoraggiare le ricerche volte ad individuare le modalità più efficaci per sfruttare la grande potenzialità dell’energia solare. Altrettanta attenzione va poi rivolta alla questione ormai planetaria dell’acqua ed al sistema idrogeologico globale, il cui ciclo riveste una primaria importanza per la vita sulla terra e la cui stabilità rischia di essere fortemente minacciata dai cambiamenti climatici. Vanno altresì esplorate appropriate strategie di sviluppo rurale incentrate sui piccoli coltivatori e sulle loro famiglie, come pure occorre approntare idonee politiche per la gestione delle foreste, per lo smaltimento dei rifiuti, per la valorizzazione delle sinergie esistenti tra il contrasto ai cambiamenti climatici e la lotta alla povertà.
Occorrono politiche nazionali ambiziose, completate da un necessario impegno internazionale che apporterà importanti benefici soprattutto nel medio e lungo termine. È necessario, insomma, uscire dalla logica del mero consumo per promuovere forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti.
La questione ecologica non va affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila all’orizzonte; a motivarla deve essere soprattutto la ricerca di un’autentica solidarietà a dimensione mondiale, ispirata dai valori della carità, della giustizia e del bene comune. D’altronde, come ho già avuto modo di ricordare, «la tecnica non è mai solo tecnica. Essa manifesta l’uomo e le sue aspirazioni allo sviluppo; esprime la tensione dell’animo umano al graduale superamento di certi condizionamenti materiali.
La tecnica, pertanto, si inserisce nel mandato di «coltivare e custodire la terra» (cfr Gen 2,15), che Dio ha affidato all’uomo, e va orientata a rafforzare quell’alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio».

11. Appare sempre più chiaramente che il tema del degrado ambientale chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi, gli stili di vita e i modelli di consumo e di produzione attualmente dominanti, spesso insostenibili dal punto di vista sociale, ambientale e finanche economico. Si rende ormai indispensabile un effettivo cambiamento di mentalità che induca tutti ad adottare nuovi stili di vita «nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti».
Sempre più si deve educare a costruire la pace a partire dalle scelte di ampio raggio a livello personale, familiare, comunitario e politico. Tutti siamo responsabili della protezione e della cura del creato. Tale responsabilità non conosce frontiere. Secondo il principio di sussidiarietà, è importante che ciascuno si impegni al livello che gli corrisponde, operando affinché venga superata la prevalenza degli interessi particolari.
Un ruolo di sensibilizzazione e di formazione spetta in particolare ai vari soggetti della società civile e alle Organizzazioni non-governative, che si prodigano con determinazione e generosità per la diffusione di una responsabilità ecologica, che dovrebbe essere sempre più ancorata al rispetto dell’ «ecologia umana».
Occorre, inoltre, richiamare la responsabilità dei media in tale ambito, proponendo modelli positivi a cui ispirarsi. Occuparsi dell’ambiente richiede, cioè, una visione larga e globale del mondo; uno sforzo comune e responsabile per passare da una logica centrata sull’egoistico interesse nazionalistico ad una visione che abbracci sempre le necessità di tutti i popoli. Non si può rimanere indifferenti a ciò che accade intorno a noi, perché il deterioramento di qualsiasi parte del pianeta ricadrebbe su tutti. Le relazioni tra persone, gruppi sociali e Stati, come quelle tra uomo e ambiente, sono chiamate ad assumere lo stile del rispetto e della «carità nella verità». In tale ampio contesto, è quanto mai auspicabile che trovino efficacia e corrispondenza gli sforzi della comunità internazionale volti ad ottenere un progressivo disarmo ed un mondo privo di armi nucleari, la cui sola presenza minaccia la vita del pianeta e il processo di sviluppo integrale dell’umanità presente e di quella futura.

12. La Chiesa ha una responsabilità per il creato e sente di doverla esercitare, anche in ambito pubblico, per difendere la terra, l’acqua e l’aria, doni di Dio Creatore per tutti, e, anzitutto, per proteggere l’uomo contro il pericolo della distruzione di se stesso. Il degrado della natura è, infatti, strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui «quando l’«ecologia umana» è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio».
Non si può domandare ai giovani di rispettare l’ambiente, se non vengono aiutati in famiglia e nella società a rispettare se stessi: il libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambiente come su quello dell’etica personale, familiare e sociale. I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri. Volentieri, pertanto, incoraggio l’educazione ad una responsabilità ecologica, che, come ho indicato nell’Enciclica Caritas in veritate, salvaguardi un’autentica «ecologia umana» e, quindi, affermi con rinnovata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia, nella quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto della natura.
Occorre salvaguardare il patrimonio umano della società. Questo patrimonio di valori ha la sua origine ed è iscritto nella legge morale naturale, che è fondamento del rispetto della persona umana e del creato.

13. Non va infine dimenticato il fatto, altamente indicativo, che tanti trovano tranquillità e pace, si sentono rinnovati e rinvigoriti quando sono a stretto contatto con la bellezza e l’armonia della natura. Vi è pertanto una sorta di reciprocità: nel prenderci cura del creato, noi constatiamo che Dio, tramite il creato, si prende cura di noi. D’altra parte, una corretta concezione del rapporto dell’uomo con l’ambiente non porta ad assolutizzare la natura né a ritenerla più importante della stessa persona. Se il Magistero della Chiesa esprime perplessità dinanzi ad una concezione dell’ambiente ispirata all’eco-centrismo e al biocentrismo, lo fa perché tale concezione elimina la differenza ontologica e assiologica tra la persona umana e gli altri esseri viventi. In tal modo, si viene di fatto ad eliminare l’identità e il ruolo superiore dell’uomo, favorendo una visione egualitaristica della «dignità» di tutti gli esseri viventi. Si dà adito, così, ad un nuovo panteismo con accenti neopagani che fanno derivare dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, la salvezza per l’uomo. La Chiesa invita, invece, ad impostare la questione in modo equilibrato, nel rispetto della «grammatica» che il Creatore ha inscritto nella sua opera, affidando all’uomo il ruolo di custode e amministratore responsabile del creato, ruolo di cui non deve certo abusare, ma da cui non può nemmeno abdicare. Infatti, anche la posizione contraria di assolutizzazione della tecnica e del potere umano, finisce per essere un grave attentato non solo alla natura, ma anche alla stessa dignità umana.

14. Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato. La ricerca della pace da parte di tutti gli uomini di buona volontà sarà senz’altro facilitata dal comune riconoscimento del rapporto inscindibile che esiste tra Dio, gli esseri umani e l’intero creato. Illuminati dalla divina Rivelazione e seguendo la Tradizione della Chiesa, i cristiani offrono il proprio apporto. Essi considerano il cosmo e le sue meraviglie alla luce dell’opera creatrice del Padre e redentrice di Cristo, che, con la sua morte e risurrezione, ha riconciliato con Dio «sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,20).
Il Cristo, crocifisso e risorto, ha fatto dono all’umanità del suo Spirito santificatore, che guida il cammino della storia, in attesa del giorno in cui, con il ritorno glorioso del Signore, verranno inaugurati «nuovi cieli e una terra nuova» (2 Pt 3,13), in cui abiteranno per sempre la giustizia e la pace. Proteggere l’ambiente naturale per costruire un mondo di pace è, pertanto, dovere di ogni persona. Ecco una sfida urgente da affrontare con rinnovato e corale impegno; ecco una provvidenziale opportunità per consegnare alle nuove generazioni la prospettiva di un futuro migliore per tutti. Ne siano consapevoli i responsabili delle nazioni e quanti, ad ogni livello, hanno a cuore le sorti dell’umanità: la salvaguardia del creato e la realizzazione della pace sono realtà tra loro intimamente connesse! Per questo, invito tutti i credenti ad elevare la loro fervida preghiera a Dio, onnipotente Creatore e Padre misericordioso, affinché nel cuore di ogni uomo e di ogni donna risuoni, sia accolto e vissuto il pressante appello: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato.