RIFLETTENDO SULL’ESPERIENZA RELIGIOSA E OLTRE.

Negli ultimi decenni, con il formarsi della società dei consumi e dei consumatori, della pubblicità e dei suoi devoti, si sono diffusi, in proporzione al grado di stupidità indotta dai mezzi di comunicazione al servizio del liberismo, l’indifferenza religiosa, quella sociale, l’ateismo pratico e il servilismo politico, tanto che molti sociologi, alla fine degli anni novanta, scrivevano che saremmo andati incontro ad una società secolare, senza alcun riferimento ad autorità o valori religiosi.

Alcuni di essi, per caratterizzare l’identità dell’essere umano di questo periodo, coniarono il termine “homo indifferens” (uomo indifferente), l’uomo per il quale Dio forse non esiste, ma del quale comunque non sente la mancanza né il bisogno. Da qualche tempo si assiste invece ad un chiarissimo ritorno alla sfera del “sacro”, tanto che ben novanta italiani su cento si dichiarano “credenti” in una qualche religione. Negli anni settanta del secolo scorso erano settanta italiani su cento a credere esclusivamente ad una “religione civile”, ovvero a un insieme di valori sociali, etici, utili o necessari per realizzare una società più giusta. Oggi queste “credenze laiche” del recente passato vengono liquidate con il termine di “ideologie”.

Oggi sembra colpire il fatto che, soprattutto nell’Occidente caratterizzato dalla libertà, dal benessere e dal consumismo, ci sia un ritorno alla “credenza religiosa”, espressa nelle modalità più vicine all’ortodossia. Chi pensava che la “credenza religiosa” fosse la consolazione e la forza dei poveri e degli oppressi ha dovuto ricredersi: anche nell’opulento occidente si torna a pregare e con vigore.

Pare sia accaduto quanto affermava Balzac, quando scriveva che <una società di atei inventerebbe subito una religione’…> Infatti, coloro che proprio non ce l’hanno fatta a ritornare nelle Chiese cattoliche dei propri genitori si è rivolto ad Oriente, a nuovi movimenti spirituali, alle filosofie, alle religioni alternative o diversamente religiose, alle sette, soprattutto di produzione e importazione nord americana: tutto sembra andare bene dove si respira aria di nuova spiritualità. Spiritualità diverse da quelle del passato, più strutturate, più comunitarie o collettive: oggi si assiste invece ad un processo di privatizzazione della religione o della spiritualità o della filosofia, in tendenza con il pensiero individualista e anti-comunitario dell’ideologia liberista. Si tende alla ricerca del trascendente,  di emozioni vitalizzanti, di sensazioni forti di benessere capaci di migliorare la qualità della vita individuale e di distaccare dalla realtà così dura e conflittuale. Non vi sono finalità escatologiche, salvifiche: tutto è molto emozionale e sensoriale e, giustamente molto terreno. Del resto è innegabile che l’emozionalità o spiritualità positiva possa avere effetti terapeutici sul male di vivere, così come era vero e forse lo è ancora, che tutte le principali tradizioni religiose prefiggevano e si prefiggono di rinsaldare e vitalizzare le qualità positive della natura umana e mai quelle negative.

Per quanto riguarda la tradizione ebraico-cristiana, il temine «spiritualità» deriva dalla parola ebraica «ruach», tradotto solitamente con «spirito», ma che comprende un’ampia gamma di significati, come «respiro» e «vento». Parlare di «spirito» significa dunque parlare di ciò che dà vita e che anima qualcuno. La spiritualità consiste nella ricerca di una vita significativa e sensata, cioè umanamente compiuta, avendo come punto di riferimento e di illuminazione la parola di Dio ascoltata, accolta e interpretata nella Comunità di riferimento. Essa può aprire all’esperienza mistica, che è spesso in contrapposizione con un approccio accademico, oggettivo e distaccato proprio dell’istituzione religiosa, che si limita a descrivere le convinzioni, le norme e le liturgie, senza prendere in considerazione il modo in cui i suoi singoli aderenti vivono e praticano la fede. Il misticismo è un’esperienza spirituale che sottolinea l’aspetto interiore, respingendo o conferendo un ruolo marginale all’approccio cognitivo o normativo. In altre parole, un mistico non utilizza l’approccio razionale o normatico  per aprirsi alla trascendenza e rapportarsi col divino, e questo aspetto della propria vita interiore viene percepito dal soggetto come particolarità positiva. L’esperienza mistica prevede il superamento dei limiti naturali, per raggiungere un senso di armonia col mondo esterno e di unificazione interiore, derivante dal processo di fusione col divino. Si tratta di un’esperienza che può essere osservata e verificata in tutte le tradizioni religiose, ma che non sempre viene accolta bene da queste, perché può essere giudicata come un modo “provocatorio” o intimistico-individualista di vivere la fede (l’esperienza interiore del divino viene sentita come più certa e vera di quella proposta dalla teologia accademica).

Il mistico dunque può essere considerato a suo modo un ‘deviante’, persona che vive esperienze intime piuttosto strane, inconsuete, intime, non sempre comunicabili facilmente agli altri in termini razionali. La sensazione di fusione col Totalmente Altro può portare a considerare inutile il proprio corpo, la propria personalità, i propri legami sociali e familiari. Tutto ciò che è materiale, terreno, umano, diventa relativo per il mistico. Da queste posizioni non è poi difficile spingersi verso forme di pensiero e pratiche esoteriche, alla ricerca di esperienze sensoriali-emotive insolite, che diano il senso della trascendenza, anche attraverso l’uso di sostanze allucinogene.

Un’altra forma di misticismo è quello detto antropocentrico, dove non ci si concentra sull’incontro col divino, ma su stati profondi del proprio sé, che conducono comunque, quando si raggiungono livelli elevati di meditazione, verso il divino. Tecniche di questo tipo sono presenti nello yoga indiano e nella spiritualità buddista, per la quale l’ideale da raggiungere è il nirvana, il nulla eterno.

Vi sono poi persone che stabiliscono con il loro Dio “privato” un rapporto del tutto simile ad una relazione di coppia o amicale: ci si confida con Dio, lo si va a incontrare, ci si scusa per le proprie debolezze, si chiede perdono oppure aiuto. Questo tipo di approccio mistico è stato definito ‘misticismo di sinergia’ ed è un po’ quello vissuto verso San Gennaro, san Pio di Pietrelcina, o da veggenti-visionari.

Dal punto di vista sociale la vita religiosa o spirituale delle persone consacra i valori condivisi da una comunità: questi stessi valori, trasformati poi in riti, danno il senso della trascendenza e dell’appartenenza in quanto aiutano le persone a sentirsi unite e solidali in una stessa comunità, chiamata chiesa.

Dal punto di vista psicologico, la religione per chi crede è molto importante, perché offre la sicurezza che ci sia un senso in ogni cosa e dunque aiuta a sopportare meglio le situazioni difficili e drammatiche della vita, dando coraggio e speranza, come nessuna psicoterapia riesce a fare.